"Il mondo in una mano"
"Il mondo in una mano"
Per molti anni per mancate informazioni corrette e una accentuata enfasi dei mass-media, l’impianto cocleare è stato considerato alla stregua di un orecchio bionico, semplificandone quello che è il reale principio di funzionamento.
Gli impianti cocleari (CI) sono diversi dagli apparecchi acustici (AP) in quanto non amplificano semplicemente il suono ma aggirano il normale meccanismo di conduzione del suono dell'orecchio, stimolando direttamente il nervo acustico (segue immagine).
L'impianto cocleare è costituito da un "apparecchio" esterno chiamato processore (speech processor) provvisto di un microfono che acquisisce il suono, lo "elabora" e lo invia a un trasmettitore che comunica in modalità wireless con un ricevitore posizionato chirurgicamente sotto la pelle.
Il ricevitore stimolatore posizionato chirurgicamente nell'osso temporale, converte il suono in impulsi elettrici che sono trasportati da un array di elettrodi all'interno della coclea. Il segnale viene trasmesso all'interno del sistema uditivo centrale, che generalmente rimane intatto nei pazienti sordi, alla corteccia uditiva, consentendo ai pazienti di “ascoltare” (Yawn et al, 2015)
Gli attuali criteri di candidatura all’intervento stabiliti dalla Food and Drug Administration (FDA) includono soggetti la cui sordità pre o post-linguale va da grave a profonda per frequenze medio-alte (1000–8000 Hz) i cui benefici siano stati limitati dopo 6 mesi di prova con apparecchi acustici bilaterali ben adattati (NIH Consensus Panel 1995; Kral and O'Donoghue, 2010).
L’esposizione ai suoni e quindi alla lingua parlata permette al bambino sordo di acquisire se adeguatamente supportato e in assenza di comorbilità, abilità linguistiche alla pari dei bambini normoudenti (vedesi lavori di Colletti, Burdo, Cristofari, Cuda, Trabalzini, Della Volpe).
Prima di trattare i benefici del CI, però, è opportuno chiarire che la decisione di impiantare o meno il proprio figlio, spetta alla famiglia la quale deve essere pronta a scegliere solo dopo che è stata adeguatamente informata (e non terrorizzata!) sul cosa comporti un intervento di impianto cocleare, i rischi e la gestione futura.
Innanzitutto, il problema decisionale quando si tratta di infanti e bambini è legato alla necessità di accedere all’intervento in tempo utile perché il CI possa essere adeguatamente sfruttato nel recupero (e nella costruzione, in caso di sordi preverbali) delle abilità percettive e linguistiche. Tardare l’intervento senza esporre un bambino sordo a una lingua, sia essa verbale o dei segni, può seriamente compromettere il suo sviluppo neurofisiologico. Quindi il fattore età è fondamentale e spesso coincide con le paure, le preoccupazioni, l'accettazione del "problema" da parte della famiglia.
Successivamente, al rischio, trattandosi di un intervento chirurgico, di possibili lesioni irreversibili alla coclea (danni funzionali, alterazioni vestibolari).
A questo, si unisce il fatto che spesso viene anche sottovalutato l’impegno richiesto dall’iter riabilitativo o abilitativo che segue l’intervento, necessario per l’ottimizzazione dei risultati: ergo, i risultati forniti dall’impianto in termini di abilità linguistiche non sono uguali per tutti i bambini e questi possono dipendere oltre che da caratteristiche intraindividuali anche dall’ambiente in cui le stimolazioni provengono e dalle modalità.
Ora, la lingua parlata (oralismo) a cui il bambino sordo è esposto, è artificiale. L’assoluta assenza di percezioni sonore non permette di apprendere in modo fisiologico e naturale, cogliere quindi l’intonazione, le espressioni, i sentimenti di una frase che viene formulata in un ambiente, per questo è importante che l'ambiente sia stimolante e positivo. In condizioni fisiologiche, un bambino che sta giocando sul tappeto ascolta naturalmente le conversazioni dei genitori o una canzone e percepisce degli input ambientali in modo non consapevole, le rende sue, le assimila, le elabora e poi le esprime. Al bambino sordo questo è negato, ed è chiaro che quando esposto ad un linguaggio artificiale e controllato maggiori sono i rischi di avere un vocabolario meno ampio e carenze a livello lessicale e pragmatico.
È vero anche che un gran numero di bambini impiantati che non hanno mai avuto esperienze sonore, in qualche modo imparano a produrre un linguaggio comprensibile entro un anno dall'impianto mostrando notevoli miglioramenti nella percezione del parlato, nel riconoscimento delle parole e nello sviluppo del linguaggio (Pisoni, 2000; Clark, 2006). Rimane comunque indispensabile precisare che tali risultati dipendono fortemente dall'etiologia, dalla durata della sordità, dall’età di diagnosi, dalla protesizzazione precoce, dall'età dell'impianto, dal contesto familiare e dalle stimolazioni a cui il bambino è esposto (Blamey et al, 2013; Dunn et al, 2014; Johnson et al, 2016).
Deontologicamente è necessario chiarire che, il successo di un CI si basa sulla capacità del sistema uditivo centrale di risolvere e elaborare adeguatamente gli stimoli elettrici. Dalle osservazioni sulle prestazioni dell’impianto e dal fatto che possono migliorare notevolmente nel tempo dopo l'attivazione del dispositivo, si evidenzia l'importanza della plasticità e dell'apprendimento percettivo (Luke et al., 2016; Johnson et al, 2016) che rimane comunque una condizione altamente interindividuale.
In merito ai benefici una recente revisione che ha esaminato oltre 40 articoli peer-reviewed dal 2003 al 2018 ha indagato sulla possibile relazione tra età al momento dell'impianto e alfabetizzazione e risultati accademici, concludendo che, solo il 21% delle analisi ha fornito evidenze in favore dell'impianto “precoce” (Marschark et al, 2019). Paradossalmente, il 21% potrebbe sembrare una percentuale molto bassa ma se si tiene conto che la maggior parte degli studi non sono stati condotti in collaborazione tra audiologi e psicopedagogisti e che, solo negli ultimi 8-10 anni gli interventi di impianto cocleare vengono effettuati su neonati e infanti (4-8 mesi) (vedesi i lavori di Colletti, Trabalzini, Cuda, Cristofaro, Martini, Della Volpe), che l'età di diagnosi e di impianto, la cultura materna, i trattamenti riabilitativi, l'ambiente familiare e sociale, le risorse in possesso della famiglie non sono dati riportati per tutti gli studi in esame, e dunque non perfettamente equiparabili, ritengo rilevante considerare tale percentuale altamente significativa. Per giunta, i risultati attuali e le conclusioni di altri studi, anche italiani, vengono discussi in termini del più grande numero di variabili che è necessario tenere in considerazione nella valutazione dei benefici dell'impianto cocleare e chiedersi l'utilità di considerare l'età di impianto come un gold standard per quanto riguarda la valutazione dei risultati a lungo termine dei processi cognitivi (Marschark et al, 2019; Duchesne and Marschark, 2019, Aparna e Thiruvalluvan, 2022, Nicastri et al, 2022).
In virtù di quanto appena affermato, trarre delle conclusioni sulle prestazioni e dunque sulle percentuali di casistiche di successo con CI, non è semplice. Questo solleva domande metodologiche pratiche e teoriche in quanto andrebbero definiti (standardizzato) il concetto di accesso “precoce” al CI, la relazione tra questo e il contesto sociale (grado culturale della famiglia), nonché misure standard per valutare i benefici. Non solo, anche la promozione di ambienti di ricerca diversi (non clinici ma educativi) potrebbero essere indispensabili per meglio comprendere le reali abilità cognitive degli studenti sordi con impianto cocleare. Sicuramente nuove ricerche e nuovi criteri dovrebbero essere rilevati per validare questi numeri.